Per non fare la solita presentazione alla tua pittura, ti propongo un dialogo aperto, in verità da me già richiesto, per avere da te una chiarificazione sulla tua ricerca presente e passata. Penso che ciò serva anche a te per una puntualizzazione estrema della tua operazione estetica, salvi la tua opera da una interpretazione parziale od ambigua e ti coinvolga, senza riserve. L’impronta espressionistica del tuo linguaggio iconografico, almeno al presente, ti espone a rischi notevoli, anche per la componente angosciosa, direi tragica, del tuo messaggio, ed io vorrei, con questo breve dialogo, offrirti l’occasione di spiegare i motivi di questa tua completa denuncia.


FV
Parlami perciò, per prima cosa, di come sei arrivato a questa tua presente figurazione.

AB
A quest’ultima fase della mia figurazione sono giunto attraverso una lunga, liberatoria crisi, crisi che mi ha coinvolto completamente come uomo, cittadino, essere sociale ed individuo in particolare, crisi esistenziale, perciò, nel più completo termine della parola.


FV
Puoi, allora, precisarmi com’era la tua pittura precedente?

AB
Ho cominciato ad esprimermi con il segno e conseguentemente con la pittura sin dall’adolescenza (non c’è arte senza complesso!), circa trent’anni fa, obbedendo ad un bisogno espressivo-comunicativo che è la regola generale quasi di tutti quelli che poi si ritroveranno ad essere pittori. Fui in seguito sollecitato da nomi interessanti per la mia formazione. In sovrapposizione ai grandi esempi del passato: Masaccio, Michelangelo, Caravaggio, Goya, Cezanne e Van Gogh, che però non furono cancellati, ma messi a base della mia ricerca, mi accostai a Morandi, Morlotti, Burri e Fautrier, in ordine di tempo, prima degli anni Sessanta; Matta e Sutherland, nei primissimi anni Sessanta e Bacon, buon ultimo, nel ’63.

Bacon è stato, come per altri pittori giovani, la presa di coscienza, la mano che ci ha strappati dalle spirali di una vana avanguardia, di una ricerca estetico-formale fine a sé stessa. Il suo messaggio fu una «FOLGORAZIONE» per me, qualche cosa che mi attraeva e mi respingeva insieme: il suo linguaggio travolgente era un richiamo persuasivo, la frusta della sua denuncia: qualcosa che faceva abbassare lo sguardo e ti allontanava. Mi ritrovai presto in una crisi che mi avvolse e tormentò dal ’63 al ’68, quattro anni per me terribilmente costruttivi: lasciai quasi completamente la pittura e scelsi il silenzio e la riflessione, non per paura, nel momento in cui fu solennemente celebrato il funerale all’«INFORMEL» a cui avevo aderito sentitamente nelle sue ultime fasi, pur con un linguaggio che già preannunciava questa fine

(nei quadri di quei miei anni si nota lo scontro frontale di diversi mezzi espressivi, la materia informale, il gesto, il segno espressionista, una ambientazione surreale, una eco pop ed il richiamo estremo alla figurazione). Per uno come me, assente dal rapporto culturale attivo (cioè isolato nella ricerca e senza interlocutori), seppur per questo più libero, c’era di che perdersi, e fu proprio l’alto messaggio umano ed artistico, direi il lacerante urlo baconiano, che mi illuminò il cammino. Fu il passaggio obbligato per molti: Canogar e Jardiel in Spagna, furono l’eco più forte; Guerreschi e Zigaina, in Italia, con pochi altri testimoniarono quei tempi nuovi. Ma non tutti passarono quel «RUBICONE» con altrettanta classe, impegno e rischio personale. Per molti fu solo un aggiornamento, il seguire un avviso di certi altri. Profeti, senza credervi. A distanza di un decennio, scopro come per tanti fu solo un gioco che li salvava dall’etichetta del sepolto «INFORMEL». C’è da ridere a rileggere a distanza di tempo certa critica di allora, critica profetica esaltante concetti bruciati nello spazio di poche stagioni, vedere movimenti di celebri nomi che cercavano di sfuggire alle maglie della rete informale, quasi vergognosi di essere stati identificati in quel movimento e senz’altro pronti ad identificarvisi appena se ne sentisse il ritorno. Forse quella caduta fu troppo presagita, ed il Vate che condusse all’estrema soluzione di quella compagine, ora, come allora, condiziona dal suo alto pulpito estetico una titubante schiera di timorosi. La lezione informale fu molto importante per me e non potei superarla senza una forte riflessione! Una certa regola di essa vive anche nei miei quadri più recenti.
Bacon quindi mise a fuoco gli interessi umani della mia pittura. Era molto facile entrare nel suo mondo, facile subirne la influenza senza considerarne i rischi; erano i primi anni del ’60, non c’era paese in cui non operassero pittori «baconiani». Fu presto un manierismo ed in seguito, addirittura, una vera moda culturale: ci cademmo in molti, anzi molti ci sono ancora dentro! Il fascino di questo grande maestro è estremamente travolgente, ma seguirlo in un modo così cieco, voleva dire non capirne il grande messaggio, e fu travisato. Come per Picasso, anche per Bacon dovremo un giorno parlare di influenza positiva e negativa. Ambedue ed in modo diametralmente opposto, sono stati uomini del loro tempo, testimoni di una certa epoca storica, estroverso l’uno, l’altro introverso. Superare Bacon coimporta una critica a Bacon e non vorrei essere io a propugnarla, sebbene in effetti la mia quasi totale astensione alla pittura in quegli anni fu un effetivo, controllo spietato su quella sua grande pittura. Una certa mia evoluzione ed il raggiungimento di una certa concreta maturità, di un certo controllo del cervello sul cuore, mi aprì negli anni ’70 nuovi obbietivi. Devo precisarti, anche perchè è constatabile, che queste periodiche crisi sono sempre state stimolanti ed il superamento di certe difficoltà non coimportava, nella mia pittura, l’estromissione assoluta di certe influenze passate, bensì la loro integrazione. Siamo tutti figli di qualcuno, c’è chi ha ricevuto o raccolto un solo richiamo chi più richiami, nessuno può dirsi costruito da sé. Bacon (lo richiamo in causa), mi urlò in faccia un grande, accorato problema: «l’UOMO»; constatai in effetti come inutile era la ricerca artistica senza questo vero obiettivo. Questa è la base sostanziale della mia operazione pittorica da allora. Il mondo angosciato baconiano è però un disperato grido passivo della miseria dell’UOMO, un fatto individualistico, tra mura private, una sublime testimonianza, un lacerato canto d’Angoscia e di Perdizione. L’ottica di Bacon, così miseramente personale, pur nella sua grande qualità umana, è però pericolosa: l’Uomo-Vittima sacrificata del suo individualismo, si contrappone all’Uomo-vittima di una Società che lo assorbe, usa, sottomette, digerisce, strumentalizza ed espelle, senza riguardo umano, l’Uomo, succube di un sistema falsamente libero, preda di ogni speculazione, lupo e pecora della situazione, l’Uomo condizionato e spogliato della sua personalità, l’Uomo-Numero, lo Uomo-Nulla. Scoprii in fondo al pozzo della mia crisi la mia nuova verità: l’UOMO come UMANITA’, non caso individuale, ma tes-sera precisa di un grande mosaico, LA NUOVA SOCIETA’. Per uscire dalle secche di questo racconto-individuale, mi sto impegnando in un rapporto sociale più preciso.


FV
In che modo pensi di essere libero da questa condizione individualistica?

AB
Credo che la vera difficoltà sia partecipare ad un rapporto interlocutorio con la Società evitando il retorico ed un certo facile realismo politico-sociale, trovare in sé un linguaggio pittorico-espressivo che non si allinei su posizioni care all’Iperrealismo decadente e ormai narcisistico fatto internazionale, non dimenticare nulla del passato e non avvinghiarsi a forme precise di una qualunque corrente, evitare la calligrafia oscenamente realista di un certo falso popularismo, perché non è assolutamente necessaria, nel dialogo col popolo, usare rapporti iconografici semplicizzati, perchè, come dimostra la partecipazione culturale del popolo messicano, ad esempio, alla opera di Rivera, Orozco, Siqueiros, non è per nulla vero che una certa difficoltà di lettura trattenga la massa dalla partecipazione ed alla comprensione della opera artistica. In verità sarebbe opportuno, al contrario, aiutare la massa ad un miglioramento culturale-ricettivo.


FV
Tu vuoi fare denuncia della nostra situazione e del sistema attuale o anche dare agli altri delle proposte alternative e prospettare soluzioni di mali della società contemporanea?

AB
Innanzitutto non sono un profeta di sventure per moda, né un pessimista inguaribile. Nel contesto sociale presente, o meglio nella situazione politica che frattura l’odierna Società, è assai difficile dare indirizzi obiettivi, dato anche che le attuali condizioni non permettono all’artista in generale la libertà di operare fuori dagli schemi del sistema. Pur con una certa libertà di coscienza ed espressiva, non siamo in effetti meno condizionati da forme di potere degli operatori estetici del passato e del Rinascimento in particolare. Il Sistema condiziona proprio perchè gestisce la cultura, e strumentalizza le nostre operazioni togliendoci qualunque alternativa che non sia l’isolamento castrante. Ci permette, debitamente disarmati, la libera ricerca col nostro proprio sacrificio, costringendoci nel dimenticatoio della Storia, pronto però a ghermirci, ad impossessarsi dei risultati del nostro lavoro qualora questo si prestasse ad un uso speculativo e pseudo culturale a suo beneficio. Ma, quel che più conta, è che il sistema, isolandoti, ti toglie al rapporto vero di dialogo e di partecipazione con il nostro naturale interlocutore: l’UOMO, nel momento in cui è più interessante e preciso questo legame: l’UOMO come membro costruttivo ed attivo della Società e non solo come individuo. Questo presupposto è l’unico argomento che convalidi l’utilità del mio esistere come operatore estetico.


FV
Nel tuo lavoro, anche in maniera secondaria, ti poni problemi estetici?

AB
Non so se questo sia positivo o negativo ai propositi della mia pittura, ma mi è assolutamente impossibile non fare questi controlli estetici sulla mia opera, siano essi coscienti od automatici.